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giovedì 23 dicembre 2010

African Christmas

Welcome back to Zambia, auntie Tiziana ! Così mi hanno accolto i ragazzi di Olga's, gli insegnanti della scuola professionale YCTC, le cassiere dello Shoprite, il taxista Mr. Sakala, le donnine che vendono verdure al "Green market", la fila di artigiani rasta del Curio Market a Mukuni Park...
E' una bella sensazione quella di sentirsi accolti nel caldo abbraccio africano. Che è proprio caldo, fuor di metafora con i suoi 36/37 gradi di media stagionale. Sono di nuovo qui a Livingstone, dopo un paio di mesi passati in Italia a sistemare casa e gatti, e sono tornata nel pieno dell'inverno australe. Voi lassù a fare i conti con la neve che spezza l'Italia in due; a guardare attoniti il governo che cade sì, cade no, no che non cade mai e spezza l'Italia in mille frantumi; a rimuginare stressati sulla lista dei regali inutili ma obbligatori da fare, ad esaurire la vostra creatività nell'inventare il munù natalizio: ma non se ne può più dei cappelletti in brodo e del tacchino ripieno! Vediamo che cosa propone "La cucina italiana": ripieni alternativi in un intramontabile tacchino.
Io quaggiù in canottiera e panama sulla testa, ombrello aperto per ripararmi dal sole e, hai visto mai, da un provvidenziale scroscio d'acqua che ti consente di respirare per un paio d'ore, guardo con una certa curiosità la vita prenatalizia in questa parte del mondo. Capisci che è Natale perchè quando vai a fare la spesa allo Shoprite c'è un reparto che vende palline decorative e festoni argentati, i commessi hanno in testa il cappello di Babbo Natale e la musica di sottofondo è "We wish you a merry Christmast" o a piacere "Adeste fideles" in versione rap. Non ho visto un solo bambino fare capricci davanti allo scaffale dei giocattoli (il singolare è d'obbligo: ce n'è uno solo). Per dirla tutta: non ho visto proprio nessuno davanti allo scaffale dei giocattoli. I carrelli spinti dalle mamme contengono sacchi di farina di mais, cavoli, fagioli insomma solo quello che serve per la quotidianità. Capisci che è Natale perchè i manghi hanno i loro frutti appesi come delle palline decorative e le bouganvilee sono i festoni naturali. Qui non ci sono i milioni di lampadine che ti penzolano sulla testa e ti danno la sensazione di essere nel tunnel spazio-temporale di "2001 odissea nello spazio". Spesso non c'è elettricità e ti cucini la cena sul Camping gas (quelli fortunati come me che lo possiedono, se no buco per terra e legna). Natale 2010 in Africa: il mio primo Natale lontano da casa. Ma che cosa ti spinge a fare una scelta del genere? A parte tutte le considerazioni più o meno scontate, dal mal d'Africa in poi che potete ben immaginare, penso che la molla che mi porta ad impegnarmi qui sia una grande fiducia nella potenzialità degli esseri umani. Bianchi, neri, uomini, donne, bambini, sani, malati, ricchi, poveri tutti hanno qualcosa da dire e da dare. Chi più chi meno. Io sto dalla parte di quelli che possono dire e dare meno con l'intenzione di fornire un sostegno alla creazione di condizioni personali da cui possano decollare con le proprie ali. Questa è anche la mission di CeLIM, l'Organizzazione Non Governativa con cui collaboro ormai da molto tempo. Sono più di dieci anni infatti che mi aggiro nelle stanze di Via San Calimero a Milano, conosco bene l'operatività e la professionalità di tutti i collaboratori. Da circa un anno poi ho avuto l'opportunità di vedere dal vivo i progetti che a Milano leggevo sulla carta, di constatare di persona come venivano gestiti dal personale espatriato. Sforzi giganteschi, difficoltà a non finire, delusioni, ridimensionamenti delle aspettative e alla fine risultati egregi. E gli espatriati? Mi sono fatta i complimenti da sola in quanto buona parte dei cooperanti che lavorano qui sono stati selezionati da me. In fondo come psicologa funziono ancora bene. Vi ho raccontato tutto ciò per dirvi che potrebbe finire. Ebbene sì, le scelte del nostro governo fanno sì che il Ministero Affari Esteri non finanzi più nulla e l'Unione Europea è poco accessibile. Un impianto organizzativo come CeLIM, che ha la veneranda età di 54 anni, rischia di non poter più lavorare. Ciò significa che il lavoro da formica fatto in tutto questo tempo, che ha significativamente cambiato la vita di moltissime persone e che ha posto le premesse per ulteriori cambiamenti per le generazioni future può interrompersi. Mi rivolgo quindi a voi tutti perchè questo non succeda. Così come un anno fa vi ho chiesto un aiuto per costruire il giardino dedicato a mia sorella Graziella (a proposito: guardate che giungla è diventato!), ora vi chiedo un aiuto perchè CeLIM continui a restare in piedi con tutta la sua storia, la sua esperienza, la sua conoscenza, la sua professionalità. Andate a vedere il sito www.celim.it, lì potrete avere un'idea dei progetti in corso e di quelli realizzati, lì anche potete trovare il link per una donazione. Sulla serietà, la trasparenza e l'onestà dell'organizzazione garantisco io. Parola di Tiziana Bertolotti.
E che sia uno splendido Natale per tutti !

venerdì 10 settembre 2010

Free time




Vi chiederete "Ma che accidenti c'è da fare in Zambia quando non si lavora?". La domanda è legittima. Il cinemapiùpizza no, visto che il Capitol Theatre ha smesso da tempo di proiettare film bollywoodiani o nigeriani, per gli amanti del genere, e la pizza la mangi da Olga's, ma allora lavori. La "vasca" in Corso Vercelli ( per i milanesi) o in Frezzeria ( per i veneziani) può essere sostituita con la passeggiata lungo la Mosi O Tunia Road ma lo shopping non è all'altezza. Discoteca? Il Fairmount Hotel durante il fine settimana propone serate disco music con musica zambiana doc di cui vi porterò un CD in regalo per Natale, cuffie anti rumore comprese. Ci diamo alla cultura? Il Livingstone Museum possiede tra le altre una sezione antropologica con tanto di personaggi in cera e animali imbalsamati da brivido e una con tutte le lettere autografe del buon David. Ma che fai? Te le leggi una per una per passare il tempo?. Come grafomane era peggio di me. Ma no, qui si fa altro. Il sabato e la domenica Livingstone si anima di iniziative e, prima di tutte, i "Walks" che sarebbero dei cortei a sostegno di qualsivoglia iniziativa: per raccogliere fondi, per sensibilizzare, per promuovere nuove associazioni, nuove chiese .. Tutti dietro uno striscione si balla, si canta, si fanno acrobazie e si cammina per le vie della città. Sempre in tema di funamboli e danzatori ci sono le "performances" in cui squadre di ragazzi di scuole o organizzazioni diverse si contendono il primato : una specie di "X Factor" in cui ci è risparmiata Simona Ventura e Claudia Mori. Grande seguito hanno le "ceremonies" a carattere religioso o laico che comunque sono un'occasione per ballare e cantare. Al "Silver jubilee" del Vescovo di Livingstone ha partecipato mezza cittadina vestita a festa e impegnata in cori di grande suggestione. La messa in lingua tonga a Mukuni Village è durata più di due ore e mi ha anche visto sull'altare a spiegare chi ero e che cosa ci facevo lì ( No, non ce l'ho la foto. No, non ho parlato in tonga). Mukuni è anche stato il luogo della "Bene Mukuni ceremony", una giornata intera con gruppi di danzatori di diverse etnie arrivati da tutto lo Zambia con tamburi, pelli di leone e corna di bufalo a danzare come forsennati davanti al Presidente della repubblica Mr. Banda ( No, nemmeno qui ho la foto, c'era un muro di polizia). Capita poi di andare a trovare gli amici volontari nei luoghi in cui operano. Ti inserisci come puoi su un minibus, posti a sedere 12, persone a bordo 24 e così compresso e sballottato raggiungi posti incantevoli come Siavonga, Lusitu e Chirundu. Non appena risistemi l'apparato scheletrico puoi goderti il tramonto sul lago Kariba con i suoi barconi che pescano a strascico la kapenta (ma sì che sapete che cos'è, ve l'ho già spiegato in un altro post) e la vista maestosa della "diga dello zio Gigi". Sì , perchè mio cognato ingegnere in gioventù fece parte del team del'italianissima "Torno" che progettò e costruì la diga sullo Zambesi da cui origina il lago Kariba. Roba degli anni '60. Se poi ti capita di passare per Lusitu sul fiume omonimo e hai la fortuna di essere lì al tramonto, sei dentro ad un dépliant che ti decanta la "real Africa". Ma girovagare per lo Zambia succede ogni tanto. Fondamentalmente nel tempo libero si fa quello che fate anche voi: si mangia. Preparo io e vengo da te, prepari tu e ci troviamo da Tizio, io faccio il barbecue e tu porti il riso, io porto la torta voi preparate l'insalata... un vorticoso giro di pentole e contenitori che trova requie solo quando a cucinare sono i cuochi di Olga's o quelli dell'"Ocean basket" dove riesci a mangiare un pesce che sa di pesce e non di fango dello Zambesi, o quelli dell'"Armadillo" dove sei certo di passare qualche ora perchè il tuo filetto, molto buono in verità, ci mette mediamente un'oretta ad arrivarti al tavolo. Io requie invece la trovo con difficoltà visto che le mie doti culinarie sono molto apprezzate. In particolare vanno alla grande le torte, quelle al cioccolato, quelle di mele, quelle con la crema. E qui devo ringraziare mia sorella Valeria che, fornendomi la ricetta della crostata con la crema di limone ha reso un duplice servizio: quello di utilizzare parte dei limoni della pianta di Giuseppe e quello di introdurre ad Olga's, in versione monoporzione, la specialità che abbiamo battezzato "Lemon custard pie". Sul fatto poi che passo il mio free time a impastare tonnellate di pastafrolla e a girare ettolitri di crema al limone me la vedrò con lei quando torno a Milano.

giovedì 2 settembre 2010

Gita fuori porta


Mi sono presa un giorno di ferie e ho fatto una scampagnata fuori porta. Voi la gita della domenica la fate al Parco Lambro se siete a Milano o al Parco San Giuliano se siete a Venezia. Io la scampagnata l'ho fatta al Parco Chobe visto che il Botswana è qui dietro l'angolo. Prima di morire seppellita dalle vostre ragionevoli "macumbe" scagliate al mio indirizzo dalle vostre sudate scrivanie, vi racconto come è andata. Mi sono aggregata ad un gruppo di italiani a zonzo per lo Zambia con "Viaggi solidali" che hanno condiviso con me la delusione di non aver visto uno straccio di leone. Sì perchè quando uno va a fare un safari vuole vedere un leone, uno almeno, se no che safari è? Se è la prima volta che ci si avventura in questa impresa il primo spelacchiato impala che bruca dietro il botteghino dove paghi il ticket è l'eroe del giorno e riceverà una raffica di fotografie da parte di ogni turista. Lo stesso avviene per il primo elefante avvistato, il primo kudu, il primo ippopotamo... sono quelli che non si scordano mai. Al cinquecentesimo impala, elefante, kudu ecc... quando la scheda da 2 megabyte è al limite del collasso, riponi la macchina fotografica e finalmente ti godi il piacere di stare in mezzo alla savana. Perchè un safari non è usare la tua digitale come una volta si usava il fucile ( ci avete pensato che "shoot" significa sparo ma anche scatto fotografico ?), è invece un'opportunità unica di stare in mezzo ad un mondo fatto di colori, odori, suoni, sensazioni del tutto inconsuete e affascinanti. Ma come tutti gli umani predico bene e razzolo male.E' grande la tentazione di fissare la famigliola di ippopotami dello stesso grigio del fango in cui dormono placidamente, mentre i ralli dal becco rosso fanno con dovizia il lavoro di pulizia degli occhi. Così come non resisto ad immortalare la stravagante immagine del coccodrillo a bocca aperta per trovare un po' di refrigerio: sembra si sia messo in posa davanti ad un ceppo che riproduce perfettamente la sua sihlouette, o anche la curiosa messinscena del gruppo di orici che si sono sicuramente accordati e sdegnosamente mostrano i loro deretani, o ancora la giraffona vanesia che mi guarda pronta a farsi fare un primo piano, o infine l'attimo in cui una specie di airone gigante grigio con il becco arancione (accidenti, troppo presa a scattare mi sono persa il nome...) prende il volo. Che dire, ti senti un fotografo del National Geographic ! Direte voi : ma dov'è il mondo di sensazioni? E' qui, è qui: è la traversata del fiume Chobe di una fila interminabile di elefanti, è la beata convivenza di coccodrilli, aironi e impala ognuno impegnato a farsi i fatti propri, è semplicemente la varietà delle sfumature dall'ocra all'arancio al rosso della terra africana sullo sfondo di un cielo turchino. Le restanti foto, quelle che, per capirci, completano i 2 megabyte, ve le faccio vedere quando torno in Italia. Senza leone.

sabato 21 agosto 2010

Living in Africa





Un conto è fare il turista, un altro conto è vivere in Africa. Ti devi pur fare da mangiare, rassettare la casa, fare il bucato, tagliarti i capelli e magari rifarti la tinta perchè le radici bianche cominciano a farsi vedere, toglierti quel callo maledetto che si è formato sotto l'alluce destro.. beh, alcune cose le puoi fare altre no. Bravi, avete indovinato: i parrucchieri da donna non esistono, le tinte per i capelli sono unicamente deep black e i pedicure non si sa che cosa siano. O meglio è pieno di parrucchiere che ti mettono le extensions ( quelle treccine di plastica che attacchi ai tuoi capelli) ma bisogna avere i capelli di un'africana, simili alla paglietta per grattare le pentole per poterle applicare se no i quattro peli europei che ti trovi sulla testa li perdi inesorabilmente. I pedicure: che cosa se ne fanno visto che il massimo delle scarpe che vedi in giro sono le infradito di gomma? Quindi con un ricordo lontano del taglio fatto da Mario il parrucchiere, i capelli color topo incanutito e il callo dolente vai a fare la spesa. In tutto lo Zambia impera lo Shoprite. E' l'equivalente della Esselunga, dove trovi tutto quello che da nessun'altra parte puoi trovare (uno per tutti il Camambert, anche se in 4 mesi è comparso due volte e costa come un tartufo di Alba) , regno incontrastato dell'Unilever, della Nestlè,della Colgate. Volere o volare ti becchi anche qui lo "Svelto" che si chiama " Sunlight", la saponetta "Dove" col volo di colombe ,la serie infinita di creme per il corpo che vanno sotto il nome di "Vaseline", l'immancabile "Vim" ma solo in polvere ( si capisce che lassù non ritengono le mani africane degne di cura), e via col "Coccolino". I bambini poi dalla nascita alla prima adolescenza si nutrono di "Nido" prima e "Nesquik" più avanti. Caparbiamente dichiaro guerra alle multinazionali, i panni li lavo con il "Boom" e la pelle me la idrato con "Novacare"prodotti in Zambia: costano meno della metà e fanno lo stesso identico effetto dei parenti ricchi . Il "Boom" è una pasta color turchese che si scioglie nell'acqua ed è un must per le donne zambiane, non ci rinuncerebbero per niente al mondo. Come non rinuncerebbero all'inshima. E qui apriamo il capitolo del che cosa si mangia. Gli zambiani mangiano l'inshima, una polenta bianca come quella che facciamo a Venezia ma molto ma molto più spessa, accompagnata dalle immancabili rapes, una sorta di catalogna da noi inesistente, o dalle foglie di cassava (idem). Immancabile è anche il cavolo mentre pomodori, cipolle e green peppers vengono utilizzati per insaporire le foglie sopraddette. Il tutto annegato in qualche decilitro di cooking oil dall'inconfondibile odore di olio strausato di Mc Donald. Questo tipo di verdure le trovi nei mercati tradizionali che sono un vero spettacolo per gli occhi. Talvolta compaiono le uova strapazzate o la kapenta ( pesciolini pescati nel Kariba lake, essiccati e ribolliti) e se sei fortunato il pollo. E va bene, si può fare una, due, tre volte, ma non due volte al giorno per tutta la vita. Anche perchè a stomaci non abituati, la polenta locale provoca una pirosi gastrica importante. Niente a che vedere comunque con la cucina indiana di cui ho già abbondantemente parlato: lì vai proprio a fuoco a partire dalla lingua per finire alle budella. La tragedia è quando finisci il Maalox, i prodotti antiacidità locali fanno l'effetto delle pastiglie Leone. Mi dicono invece che i "Bush rats" fritti sono una prelibatezza e, come valore aggiunto, ti fanno correre velocissimo: proprio come un topo. Mi sono stati proposti alla fermata dei minibus di Kafue insieme ad un'altra delizia, i bruchi allo spiedo. Purtroppo era un po' presto per il pranzo e ho dovuto rinunciare. Perchè fate quella faccia? E' proprio la stessa faccia che fanno qui quando dico agli zambiani che noi lassù mangiamo i conigli. La stessa che sta mostrando Brandina , chef qui a Olga's, quando le ho fornito la ricetta del coniglio alla cacciatora.

sabato 31 luglio 2010

It's a jolly holiday with Chijnga...

..It's a jolly holiday with Chijnga, Chijnga makes your heart so light..ma ve la ricordate? "Com'è bello passeggiar con Mary, un suo sorriso il sole fa spuntar", In inglese viene meglio: passeggiare per il bush con Chijnga (al di là dell'improponibilità del nome che comunque per noi è "Cinga")ti alleggerisce il cuore e ti trasporta in una dimensione in cui il contatto con la vita della savana è così ravvicinato che hai la sensazione di far parte di un mondo incantato. Proprio come quello di Mary Poppins. E' un'esperienza fatta di colori, odori, rumori in diretta, non chiusi dentro un fuoristrada, a contatto di pelle con la natura. E allora sì che puoi apprezzare il profumo della salvia selvatica che sa un po' di limone, puoi sentire il frullare delle ali di un ibis sacro che vola via a qualche metro da te, puoi andare a curiosare nei nidi organizzati come un condominio degli uccelli tessitori, puoi osservare il lavoro gigantesco e instancabile delle termiti. Chijnga, passo felpato, voce bassa, ti porta per mano a scoprire i misteri di questo regno: ecco là le impronte dei bufali, più in là le toilets degli impala che pare eleggano un posto dove evacuare a differenza dei rinoceronti che la fanno dove capita. Più avanti l'amarula tree per la gioia degli elefanti. Gli alberi di amarula sono infatti il pub preferito dai pachidermi che si strafogano delle loro bacche e poi, ubriachi fradici, vanno in giro a tirar giù piante e tutto quello che capita sul loro passaggio. A Venezia, quando hai alzato il gomito si dice che sei "andato per muri". La tua giacca infatti porta i segni inequivocabili dell'intonaco che urta di qua, urta di là ( e meno male che le calli sono strette) ti resta appiccicato addosso. Qua gli alberi di acacia, teak, mogano fanno lo stesso servizio dei muri veneziani, gli elefanti restano in piedi ma loro si sradicano. E che dire quando ti trovi davanti un centinaio di bufali che ti guardano con sospetto? Speri solo che vadano avanti a ruminare e ti ignorino, perchè il ranger che ti accompagna ha sì il fucile ma probabilmente è poco utile in caso di attacco. Meglio allontanarsi e godersi lo spettacolo delle giraffe: i lunghi colli spuntano dalla radura, gli occhioni miti cercano i ramoscelli più teneri, con lenta eleganza strappano le foglie e iniziano a masticare con calma, molta calma. Come calmi e pacati sono gli gnu, grandi grossi e timidi, appena si accorgono della tua presenza scappano via dopo che il capo branco ha controllato che le femmine e i piccoli siano al sicuro. E arriviamo alla meta ultima di tanto delizioso pellegrinare: l'incontro ravvicinato con il re di questi luoghi, il rinoceronte bianco. Strana sensazione, finchè non sei proprio vicino vicino, non ti accorgi che è un bestione, vedi solo un enorme sasso grigio chiaro. Poi intravvedi un occhietto, ridicolo per quanto è piccolo in quella massa pietrosa che sembra una montagna infine spunta il corno e lì capisci che hai di fronte Mr Rhino. Lui è quasi cieco ma ci sente benissimo e soprattutto ha un odorato sopraffino. Chijnga ci fa avvicinare in modo tale che il nostro odore non arrivi alle sue narici. Lì, di fronte alle 3 tonnellate distribuite su un corpaccione alto circa due metri e lungo quattro che, mi dicono, si spostano con l'agilità di una gazzella, ti senti proprio nudo e crudo. "He is sleeping" sussurra Chijnga andando sempre più vicino...in the jungle, the mighty jungle, the rhino sleeps tonight, a-weema-weh, a-weema-weh..