Volontari, missionari, viaggiatori, turisti più o meno solidali e più o meno per caso, vagabondi alla ricerca di sé, esploratori alla ricerca dell’inesistente luogo incontaminato, insomma tutti quelli che non sono neri e che dalla gente di qui vengono messi nell’ unico calderone dei musungu sono quelli che hanno l’Africa in un cantuccio particolare nel cuore. Tra i musungu la categoria più presente è sicuramente quella dei volontari, termine generico che definisce una serie di sottocategorie la cui tassonomia risulta complicata. In primo luogo perché i volontari si definiscono e definiscono i loro ambiti di intervento con sigle che, se non sei un esperto nel campo hanno uno scarso valore esplicativo. Un esempio ? Il CEO dell’ E-MFI è anche OLP di un SCI. Io la conosco, è una persona stupenda a dispetto delle sigle che la definiscono e la rendono un po’ aliena. D’altra parte nel mondo delle ONG o NGO, se lo si dice in inglese, si impara fin da piccoli cioè da SCI ( Servizio Civile Internazionale), che si andrà a lavorare in un progetto, nell’esempio E-MFI ( Empowerment Micro Finance Institution ), che si dovrà rendere conto al proprio OLP (morire che abbia trovato qualcuno che sappia spiegarmi l’acronimo! ) che riveste il ruolo di Chief Executive Officer insomma, è il responsabile del progetto stesso.
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E via siglando …. Nel calderone dei volontari entrano quindi i cooperanti, i servizi civili, gli stagisti (particolare sottospecie che migra per un periodo di tempo limitato di solito 3 o 4 mesi ma che cade preda della magia dell’Africa e tende a diventare stanziale), i vocazionali (sottospecie ancora più particolare, che dichiara di voler dedicare un mese della propria vita agli aiuti umanitari e dopo anni li trovi ancora lì, ancorati come le cozze: un esempio vivente lo trovate in chi vi sta scrivendo), gli amici e i parenti delle categorie sopraddette che, arrivati per fare una vacanza, rientrati in patria con la valigia piena di animaletti di saponaria, chitenge per la fidanzata e le sorelle, bracciali di rame del Copperbelt e un fiume di lacrime, si ripresentano nel giro di un anno pronti a fermarsi e a
dare il proprio contributo. Ma che cosa fa tutta questa gente una volta che è qua? Non obbligatoriamente quello che c’è scritto sul suo diploma di laurea o sul suo master, o addirittura sulla sua job description, perché prima di tutto deve fare i conti con la realtà che c’è quaggiù. Un laureato in economia, con il suo bravo master in cooperazione internazionale e con il compito di lavorare in un progetto di microcredito, una volta che è riuscito ad accantonare il suo inglese oxfordiano e ad acquisire l’anglozambiano (competenza da filologo/linguista), che ha imparato dove come e quando andare a bussare alle porte di quelli che hanno il potere (competenza da diplomatico/stratega), che è riuscito a comprendere almeno per sommi capi il modo di pianificare un lavoro in Africa (competenza da studioso della teoria del caos) e che, last but not least, ha provato a cambiare un pneumatico in dieci centimetri di fango sotto un’ acquazzone che ti fa i lividi sulla schiena (e qui è gradita una grande capacità di autocontrollo: va bene aver passato qualche anno a meditare in un tempio tibetano)… allora è pronto ad iniziare il suo lavoro.
Questa capacità di adattamento vale per tutte le categorie sopraelencate.Nel giro di poco tempo capisci che l’Africa non è lì che ti aspetta a braccia aperte, che la gente di qui è vissuta e continua a vivere anche senza di te, che quello che proponi e che ritieni essere il meglio per loro in realtà è il meglio per te e che quindi devi limare le tue aspettative, millimetro per millimetro …. e reggere il peso della delusione. Detta così sembra che il volontario sia un soggetto con tendenze masochistiche, che parte nascondendo in valigia il suo personale cilicio, che ha delle colpe inconfessabili da espiare …
Rassicuratevi, non è così, anzi la gente che lavora qui è piena di entusiasmo e di passione, vede nelle sfide quotidiane la molla per esercitare la creatività. E ce ne vuole proprio tanta in questi luoghi ! Se l’elettricità ti sparisce ogni giorno e le cucine sono elettriche, che fai? Non mangi? Ma no,ti scavi un buco davanti a casa, prepari il fuoco e ti godi il miglior BBQ della storia. Sempre in tema gastronomico, se vivi a due passi dall’Oceano Indiano ti dedichi insieme alla tua famiglia alla raccolta delle vongole e la sera due spaghi non te li leva nessuno.
P.S. I ragazzi con il nastro in testa che vedete nelle foto sono alcuni dei SCI arrivati in Zambia e in Mozambico. Per sgombrare il campo da equivoci: non stanno giocando agli indiani, CeLIM non richiede una ripetizione della Cresima e non è un rito iniziatico. Si tratta di un’attività proposta dalla sottoscritta durante la giornata dedicata alla formazione. Prima prova di adattamento a situazioni inconsuete . E poi, per dirla tutta, dove trovate un luogo in cui, dopo una giornata di lavoro, potete sorseggiare il vostro gin and tonic di fronte allo Zambesi che scorre lento prima di precipitare nelle Victoria Falls o in cui potete far correre i vostri cani su una spiaggia deserta dell’Oceano Indiano? Niente a che vedere con il baretto sotto la stazione della metropolitana e con la toilette per cani di Piazza Po ( per i non milanesi: un bar sotto il metro ve lo potete immaginare in tutto il suo squallore, la toilette per cani di Piazza Po no. Sappiate che il cane di mia sorella accusava una stitichezza cronica tutte le volte che si andava là).